Selezione di alcuni passi degli scritti del Professor Lucchetti Renato relativi al passaggio del fronte a Roncitelli dal 17 luglio al 9 agosto.
“Settembre 1944
Memorie sul passaggio del fronte nel paese di Roncitelli
Man mano che il fronte si avvicinava a noi, cresceva negli abitanti l’agitazione e la paura. Intorno agli apparecchi radio si fece sempre più fitto l’assembramento di persone, preoccupate di seguire più che l’andamento generale della guerra, lo spostarsi graduale e lento del fronte nel nostro settore adriatico.
Quando, nella prima metà di luglio, venendoci a mancare l’energia elettrica, ci fu possibile tener dietro a quelle poche e succinte informazioni radiofoniche, che si riusciva ad intendere nonostante il noiosissimo crio-crio del disturbatore, si ebbe l’impressione di cadere completamente nell’oscuro. Unica fonte sicura rimase per qualche tempo un apparecchio radio con batteria autonoma, intorno al quale si formò una vasta e segreta rete di auditori e riferitori di vari ordini.
Poi anche questa fonte si ammutolì per paura che i tedeschi, già numerosi in paese, sequestrassero l’apparecchio. ormai si udiva lontano, distintamente, il cannoneggiare delle opposte artiglierie e di notte dal Monte di S. Giovanni, la posizione più alta del paese, che era diventata per l’occasione pubblico osservatorio, si distingueva nitidamente, nelle calde notti di luglio, verso Ancona, oltre il Conero fino in direzione di Jesi, un sinistro bagliore di fuoco e il lampeggiare fitto dei proiettili contraerei. Da tempo le frequenti apparizioni nel nostro cielo di reparti dell’aviazione angloamericana, rendevano oltremodo pericolosa per ogni sorta di veicolo la frequenza delle strade, e con ripetute azioni di mitragliamento e bombradamento paralizzavano il sistema delle comunicazioni tedesche. Il giorno 11 luglio fu fatta saltare la centrale elettrica di Senigallia.
Quel giorno ci rassegnammo a ritornare al vecchio lume a petrolio o ad acetilene. E da allora, reso inutile l’acquedotto comunale, riapparvero le lunghe file di donne e di uomini recantisi ad attingere l’acqua alle nostre vecchie sorgenti campestri.
La guerra si avvicinava con tutto il suo carico di preoccupazioni. Negli ultimi giorni si raddoppiarono i rifugi e le trincee, preparate per riparare e difendere i civili da eventuali bombardamenti dell’artiglieria e raffiche di mitragliatrici. Altro lavoro che tenne febbrilmente occupati gli abitanti del nostro paese fu l’affrancarsi e il provvedere a nascondere, per quanto fosse possibile, tutto ciò che potesse essere di qualche interesse per i tedeschi.
Poiché fin dagli ultimi giorni di giugno, reparti dell’esercito germanico si sparsero per le nostre campagne con il compito di requisire e asportare bestiame e materiale da trasporto. E moltissimi coloni furono privati di materiale d’altro genere come automobili, biciclette, cavalli, radio, vino, ecc.
Compito poco simpatico fu quello di coloro che si videro costretti a lavorare per i tedeschi, sia dall’accompagnare il materiale requisito verso il nord, sia nell’escavare fosse per mine e per postazioni di artiglieria e di mitragliatrici. Scene di panico e di terrore ebbero luogo ogniqualvolta che i tedeschi specie nel cuore della notte, venivano a bussare, col calcio dei fucili agli usci delle nostre case e con le armi spianate perquisivano le stanze e le soffitte in cerca di materiale e di uomini. La prima sosta di una qualche importanza di reparti dell’esercito germanico nel nostro paese ebbe luogo tra il 17 e il 20 giugno. I superbi cavalli appartenenti ad un corpo di artiglieria ippotrainata, destarono l’ammirazione nella popolazione, giunsero nella sera piovigginosa del 17 e furono rapidamente alloggiati nelle stalle vere o improvvisate del paese o delle vicine colonie. Nella notte dal 19 al 20 luglio, per le nostre strade fu un continuo rumoreggiare di carri armati, automezzi e cavalli tedeschi, ripieganti verso nord. Nella medesima notte furono piazzate non molto lontano dal paese alcune batterie d’artiglieria, le quali aprirono immediatamente un ossessionante fuoco.
Alcuni reparti ippotrainati si insediarono in diverse colonie limitrofe al paese. Nel tardo pomeriggiodel 20 luglio attraversarono il paese una quindicina di carri armati germanici, diretti al fronte con lo scopo, molto probabilmente, di rafforzare le linee di difesa. Dal 20 in poi l’artiglieria tedesca continuò a far fuoco pressoché ininterrottamente. La sera del 24 fu bombardata, da parte degli aerei alleati, una località nei pressi del Brugnetto. Già da giorni i proiettili dell’artiglieria alleata cadevano al di qua del costone di S.Angelo-Filetto-Ostra, sollevando fumate ben visibili dal nostro “osservatorio”, raggiungendo il ponte sul fiume Misa a Bettolelle.
Ben presto, anche Roncitelli ebbe il suo battesimo di fuoco. I primi colpi giunsero nella valle e lungo il fosso dei Prati Baviera. Il giorno 25 rimasero colpite le prime case del villaggio, in località Casale. Nello stesso giorno fu raggiunta da un proiettile dell’artiglieria alleata anche la palazzina sede del medico condotto, riportandone gravi danni nella copertura del tetto e nei soffitti dal primo piano. Di questo approfittarono i tedeschi, convertendo la sommità del tetto squarciato in ottimo osservatorio per l’artiglieria……..alla fine di luglio giungevano notizie vaghe ma sempre più insistenti e meno nebulose riferivano che pattuglie avanzate polacche erano comparse momentaneamente e più volte alla Cannella, spingendosi fino a risalire le nostre colline.
Ormai l’artiglieria alleata aveva sotto il fuoco tutta la zona, raggiungendo posizioni ben lontane da noi, verso Monterado e oltre. Le batterie tedesche, già arretrate, rispondevano tenacemente al fuoco nemico, vomitando numerosi proiettili, i quali, con il loro triste miagolio, passavano sulle nostre teste. La notte tra il 3 e il 4 agosto fu una delle più movimentate e memorabili. Per tutta la durata di essa reparti tedeschi motorizzati e appiedati continuarono a passare ininterrottamente attraverso il paese, spostandosi in posizioni più arretrate. L’artiglieria alleata non cessò un istante di incalzare con un nutritissimo fuoco le truppe germaniche in ripiegamento. Ma ciò che mise lo scompiglio e il terrore negli abitanti non furono i motocarri o i proiettili dell’artiglieria oppure il fragore lacerante qua e là di una fucilata bensì fu l’arrivo nelle nostre case dei tedeschi che, con i mitra spianati, urlando il loro incomprensibile linguaggio, minacciavano le donne paurose e piangenti, perché indicassero i nascondigli degli uomini.
Il mattino del 4 si seppe con precisione ciò che avevano voluto ed ottenuto i tedeschi con la loro notturna perquisizione. Alcuni, fra i più giovani, erano stati adibiti, come altre volte, allo scavo di fosse per mine. ma compito ben più impressionante dovettero assolvere le altre sedici persone requisite nella notte, la maggior parte uomini anziani e vecchi malati accompagnati e spinti dalle canne dei mitra tedeschi, consumarono il percorso fino a giungere e vedersi imprigionati dentro il mal odorante pollaio del molino Crivellini, sulla strada di Scapezzano. Furono i nostri ostaggi in mano ai germanici dei quali essi si servirono per proteggere la ritirata e il compito degli ultimi reparti di guastatori.
Di fatti, fin dalla notte, ci pervenne lo scoppio fragoroso delle mine fatte saltare lungo la strada di S. Antonio e della Cannella, e da ciò fummo avvertiti che ormai i tedeschi erano alle loro ultime ore. All’alba venne interrotta la strada, sempre con mine, nei pressi delle “Quattro Figure”. E più tardi, nelle prime ore del mattino, una violenta, triplice esplosione, che mandò in frantumi i vetri di molte case, ci sconvolse tutta la piazza antistante alla Chiesa Parrocchiale, nei pressi del Monumento dei Caduti. Verso mezzogiorno, alla spicciolata, ricomparvero in paese gli uomini presi nella notte come ostaggi. Essi vennero rilasciati un po’ alla volta e raccontarono di essersela cavata senza troppi incidenti all’infuori d’una gran paura e dello stato di smarrimento in cui s’eran trovati per non conoscere la sorte che li aspettava. A scuotere gli orecchi, anche lo schianto dell’altra mina in via Gioco del Pallone a completare l’opera di distruzione in paese. Nella strada sotto le mura del castello c’era una profonda fossa che interrompeva la strada. A poco a poco, lentamente, penetrava nella coscienza e prendeva forma la cognizione di un fatto: i tedeschi se n’erano andati.
Ciò voleva dir che avremmo atteso, pazientemente, le truppe degli eserciti alleati. C’era in molti la convinzione di rimanere per un po’ di tempo, un giorno o più, terra di nessuno. Dal momento che i tedeschi avevano abbandonato il paese, il temuto passaggio del fronte sembrava non dovesse mettere più paura a nessuno. Gli Inglesi, nonostante la loro lentezza, un giorno o l’altro sarebbero giunti e tutto sarebbe finito. Improvvisamente sulla strada da S.Liberata alle scuole erano stati visti i primi soldati alleati.
Corremmo a veder e constatammo che si trattava realmente di una pattuglia avanzata polacca. Erano circa le 5 e mezzo del pomeriggio. Da non più di due ore i tedeschi avevano lasciato il paese. I nuovi arrivati incedevano calmi, con i mitra tra le mani, in numero di sette o di otto, ricchi di gesti e con movenze di affetto, invitando i civili accorsi a ritirarsi dentro le case: “Civili, cassa!”. La gente non poteva credere che fossero sul serio soldati delle truppe alleate, e molti esprimevano il dubbio che si trattasse di tedeschi che fossero travestiti in quella foggia. Sembrava impossibile che così improvvisamente e semplicemente, dopo gli incubi e le fosche previsioni passate, ci giungesse la sospirata “liberazione”. La paura e la diffidenza frenavano ancora l’entusiasmo e non davano libero sfogo alla contentezza.
Ma presto, quando una mezz’ora dopo, giunsero le camionette celeri e i primi carri armati polacchi, attraversando velocissimamente le vie del paese, gli animi si rasserenarono e l’entusiasmo fu pieno. Durò molto poco, perché quasi immediatamente l’artiglieria tedesca aprì un nutritissimo fuoco. Fu il principio di una triste odissea per il nostro paese.
I Germanici, fatte saltare le mine con lo scopo di interrompere le comunicazioni stradali e rallentare l’avanzata, interrarono con lo stesso intento mine sui campi circostanti, avevano abbandonato il nostro villaggio, ripiegando e prendendo posizione nelle immediate colline a nord e ad ovest, ad una distanza in molti punti inferiore ad un chilometro dal caseggiato del paese, il Cimitero!
Dai loro punti rialzati dominavano il movimento dei reparti polacchi e ne martellavano le posizioni. Fin dalla sera del 4 agosto alcuni proiettili colpirono le abitazioni civili, provocando danni e rovine. Altri sfondarono il tetto della chiesa Parrocchiale, mettendo il panico tra un gruppo di persone che s’erano rifugiate là dentro. L’entusiasmo, che il sopraggiungere delle truppe alleate aveva procurato nella popolazione, colla supposizione che tutto fosse ormai finito, cessò ben presto, lasciando il posto ad una sempre crescente paura ed agitazione. Le vie del paese erano gremite di carri armati, camionette d’assalto ed autoblinde, addossate ai muri, negli angoli più riparati. Per tutto il corso della notte il cannoneggiamento da parte dei tedeschi non ebbe sosta.
La gente, accorsa e stipata nei rifugi e nelle grotte, si lasciò andare nuovamente ad un grave stato di prostrazione, incapace di opporre una qualche resistenza alle ondate di panico e di terrore che il fragore delle esplosioni, le ventate di aria calda, lo scroscio e il rovinìo dei fabbricati colpiti diffondevano inesorabilmente negli animi. Al mattino, man mano che la luce filtrava nei rifugi, tornò un po’ di calma nelle persone. Il giorno faceva meno paura della notte. Proprio nella notte di sabato 5 il fuoco delle batterie germaniche continuò aspro e rabbioso.
Nelle ultime ore della notte fino al pallido albeggiare del mattino, le forze motocorrazzate e appiedate polacche ripiegarono lasciando in paese un piccolo presidio. L’artiglieria tedesca aveva cessato il fuoco. La gente osservava l’affrettato ripiegamento dei reparti combattenti e non sapeva darsene ragione. Poi, d’un tratto, il terrore e il panico apparvero sui volti e in un attimo dilagarono in tutti i rifugi e per tutte le case. I Polacchi si ritiravano. Presto, da un momento all’altro, sarebbero tornati i tedeschi. Questo era il pensiero e la paura che si leggeva negli occhi degli abitanti di Roncitelli. Nel giardino sconvolto davanti alla Pieve, a pochi passi dal cancello d’entrata, abbandonato, un soldato polacco giaceva morto, in condizioni pietose, col ventre squarciato. I Polacchi si stavano ritirando. Le persone, in preda ad un folle terrore partirono, abbandonando le case, per fuggire e salvarsi al di là delle truppe combattenti alleate………….il mattino del 9 finalmente, dopo un violento fuoco (martellamento) dell’artiglieria alleata, i reparti polacchi entrarono decisamente in azione, attaccando le posizioni tedesche con volontà e abbondanza di mezzi.
Le batterie germaniche a loro volta risposero al fuoco e lo intensificarono. Tra un colpo e l’altro dell’artiglieria si udiva vicinissimo il crepitare molteplice di svariate mitragliatrici. La gente, raccolta nei rifugi, prestava attentamente orecchio ai vari rumori del combattimento e trepidando misurava il tempo che trascorreva.
Già prima di mezzogiorno si avvertì chiaramente che la lotta volgeva alla fine. I tedeschi, dopo aver opposto tenace resistenza, abbandonarono le posizioni in prossimità del cimitero ripiegando oltre il fiume Cesano. Comunque, al termine della giornata, la battaglia di Roncitelli, la “nostra battaglia”, sui volti lentamente spariva lo sgomento e la paura. Gli animi si rasserenavano e lentamente riprendevano energia. L’incubo opprimente e continuo, ormai, era cessato……….gli occhi, cercandosi, brillavano di una incontenibile commozione, lasciando trasparire la gioia segreta che era negli animi, di vedersi e guardarsi ancora, di sentirsi vivi e incolumi, dopo i passati pericoli. Il cimitero, solitario e muto, se ne stava ancora lassù ma aveva i segni manifesti della violazione. Le mura diroccate, alcune tombe scoperchiate, erano tristi testimoni della empietà e della barbarie degli uomini. Presto, solitari sui nostri poggi, torneremo ad essere ancora, come nei tempi trascorsi, un vecchio paese di lavoro e di pace.
Wasyl, una storia di accoglienza e coraggio