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Storia XX secolo

Wasyl, una storia di accoglienza e coraggio

di Marcello Marinelli.

Questo episodio mi è stato raccontato da mio padre “Toto” e da mio zio “Nello”.
Tutto si svolge nella zona che va dal cimitero di Roncitelli al fiume Cesano (Donnella-Bruciata), dove allora abitavano mio nonno Alfredo e la sua famiglia.
La casa adesso è stata demolita, si trovava nei pressi dei capannoni che una volta erano dell’azienda Baldoni.
È una storia di persone semplici, di privazioni, di ospitalità e forse di tanto ingenuo coraggio.

Scrivo come se fosse mio padre a raccontarla:

«Era la primavera del 1944, ultimo periodo della seconda guerra mondiale. le truppe tedesche di occupazione si ritiravano verso nord.
Per diversi giorni una interminabile colonna di mezzi di tutti i tipi scendeva dalla collina del cimitero per dirigersi al di là del fiume Cesano.
Gli alleati avanzavano molto lentamente. Quando trovavano una minima resistenza facevano entrare in azione l’artiglieria. Ci sono notizie di vittime anche tra i civili in quella zona.

Una mattina di maggio vedemmo avvicinarsi verso casa un uomo malamente vestito, con un cappello nero in testa. Camminava lentamente e sembrava molto sospettoso.
Probabilmente stava cercando di capire cosa potesse trovare in quella casa. Era molto alto e snello, capelli biondi a spazzola. Ci disse di chiamarsi Wasyl e di essere russo.
Parlando un italiano stentato ci fece capire di essere fuggito dai tedeschi che lo avevano fatto prigioniero. Aveva bisogno di nascondersi, se lo avessero trovato per lui ci sarebbe stato il plotone di esecuzione.

Aveva fame e noi lo invitammo ad entrare in casa, gli offrimmo da mangiare, la sua paura sembrò scomparire, forse aveva capito che quello era un luogo sicuro e che si poteva fidare di noi.

Wasyl ci raccontò che prima di arrivare nella nostra casa aveva chiesto ospitalità ad altre famiglie della zona, ma era stato sempre allontanato. Tutti in quel periodo avevano paura, ma in realtà era solo un povero soldato di 20 anni lontano da casa che voleva salvare la pelle.
Parlammo con Wasyl per diverse ore e quando si fece sera nessuno di noi ebbe il coraggio di mandarlo via, così quel povero soldato sbandato aveva trovato un nascondiglio per salvare la sua vita.

Passarono giorni e settimane. Quando il fronte era tranquillo lui rimaneva in casa con noi, quando i tedeschi erano vicini si nascondeva nelle siepi o in mezzo ai covoni del grano, e a volte era costretto a rimanere nescosto anche per diversi giorni.
Noi conoscevamo quei nascondigli e gli portavamo da mangiare.

Wasyl fumava, ma le sigarette in quei tempi erano una rarità. Una nostra parente che aveva trovato ospitalità nella nostra casa riusciva a procurargli dei pezzetti di foglie di tabacco raccolto in campagna ed essiccato al sole.
Rimediando anche qualche fiammifero e carta di giornale Wasyl riusciva a farsi delle sigarette che fumava intensamente. La signora che gli procurava tutto ciò veniva affettuosamente chiamata “mamma Clara”.

Ricordo che quando fumava di notte teneva la sigaretta chiusa tra le mani. Aveva paura che la luce potesse essere notata dagli osservatori tedeschi che non avrebbero esitato un istante a far bombardare il luogo da cui proveniva quella debole luce.

Nelle giornate in cui Wasyl poteva rimanere a casa mangiava con noi. A lui era riservato il posto di capotavola, anche perché era il più vicino alla porta nell’eventualità di una visita improvvisa dei tedeschi.
Per lui ogni attimo era prezioso per la fuga.

Una cosa tra le tante non potremmo dimenticare: qualche giorno a tavola eravamo anche 20-35 persone ma lui era l’unico che, prima di iniziare il pranzo si faceva il segno della croce.

Intanto il fronte si stava avvicinando, gli spari si facevano più frequenti, e verso la metà di agosto ci fu un’intera giornata di combattimenti.
Quel giorno Wasyl rimase nascosto con noi in un rifugio che avevamo scavato vicino alla casa.
Verso sera i tedeschi si ritirarono a nord del fiume Cesano. La notte trascorse in un silenzio assoluto, nessuno osava muoversi.

La mattina Wasyl mi chiamò, era rimasto tutto il giorno e la notte ad osservare il passaggio del fronte. Aveva visto avvicinarsi da sud una colonna di camion alleati: erano polacchi.
Gli andammo incontro e loro ci offrirono vere sigarette, pane bianco e cioccolata.

Ma la guerra non era ancora finita. Anche se i tedeschi si erano ritirati di alcuni kilometri, continuavano i bombardamenti sulle avanguardie alleate per ritardare l’avanzata.
Un proiettile di artiglieria colpì la nostra casa ferendo nostro padre Alfredo ed uccidendo mio fratello Silvio di 20 anni.

I combattimenti lentamente si diradavano. Wasyl voleva ricongiungersi agli alleati. Noi lo sconsigliammo, volevamo che restasse con noi per qualche altro giorno finché la situazione non fosse stata più tranquilla.

Una mattina, al passaggio di una colonna di camion che trasportavano truppe alleate, gli andammo incontro. Wasyl fece cenno ad un camion di fermarsi, questi si arrestò.
Erano militari polacchi. Si scambiarono alcune frasi, fecero segno a Wasyl di salire e lui partì.

Erano trascorsi alcuni mesi quando una domenica mattina arrivò davanti alla nostra casa una camionetta militare inglese con tre soldati a bordo.
Uno di loro era Wasyl, fecero colazione con noi e poi ci recammo insieme per una piccola gita al santuario della Madonna della Rosa.
Al ritorno Wasyl e gli altri due pranzarono con noi trattenendosi fino a sera, poi ripartirono per raggiungere la loro base che era a Falconara.

Non lo rivedemmo più. Dopo un lungo silenzio ci giunse una sua lettera, era il 10 dicembre 1946, Wasyl diceva di trovarsi in Inghilterra. Era scritta in un buon italiano.
Erano parole di riconoscenza per chi gli aveva salvato la vita.»

TOTO